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Si puΓ² forse dare per pacificamente accettato che \βAmore Tossico\β di Claudio Caligari costituisca una plaque tournante della cinematografia italiana nella rappresentazione filmica dell\βintersezione tra \βdisagio della civiltΓ \β e ricerca scomposta dell\βalterazione chimica: un particolare stato di grazia tiene in bilico le sue sequenze tra restituzione finzionale e riuscita documentaristica. Ma questo combinato disposto naturalmente non atterra come un corpo estraneo nel territorio visivo dello spettatore stralunato di inizio anni \β80: il suo Γ¨ uno sguardo preparato e pettinato da esperimenti ibridi che attraversano il documentario e il drug-movie lisergico, tra presa diretta e messa in scena (con il grottesco che puΓ² occhieggiare da dietro l\βangolo). Connessioni nichilistiche tra soggetti erosi dalla frana sgranata degli anni \β70.
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\βππ€π£ ππ€π£π©ππ©π π¨πͺ ππ π£π€π\β di Sergio Nuti, 1978, 105 min, Italia.
Nel brutalismo architettonico ed esistenziale di una Primavalle preterintenzionalmente metafisica, si consumano le giornate di un borghese e di un\βeroinomane. Il desiderio controculturale e ambiziosamente postcapitalista del \β68 e del \β77 Γ¨ qui giΓ metamorfizzato in pulsione di morte, ma quest\βopera unica del montatore Sergio Nuti sorvola su questo aspetto e lo sottovaluta allegramente, quasi con il medesimo smarrimento dei suoi stessi antieroi. Autoprodotto, sfibrato e sgranato.
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\βπΌπ£π£π\β di Alberto Grifi e Massimo Sarchielli, 1975, 225 min, Italia.
\βNon ho sedici anni, ho duecentosedici anni\β. Lo dice Anna β adolescente incinta e senza fissa dimora, raccattata a Piazza Navona dai due registi -, con una voce cavernosa che attinge direttamente alle sorgenti dell\βucronia dell\βessere. E con l\βessenza piΓΉ profonda dell\βesistenza questa pellicola Γ¨ in un contatto diretto e ambiguo: ambisce a registrare la molteplicitΓ del divenire e sfugge dalle mani di tutti, dei registi in primis, che non ne dosano durata, taglio e sviluppo narrativo, rimanendo travolti e superati dal loro stesso iniziale sguardo pseudopaternalistico. Un film che travalica sΓ© stesso e l\βidea stessa di cinema-veritΓ , se non di cinema tout court.
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\βπππ§ππΓ© π¨π πͺπππππ€π£π€ (π‘π π’ππ§ππ)\β di Mauro Macario, 1976, 94 min, Italia.
Temporaneo trasferimento del tema droghereccio in cornice borghese, con spruzzata di queer e virate nell\βhorror e nel grottesco (colonna sonora dei Goblin, qui sotto il moniker di Reale impero britannico). Fallito l\βintento di denuncia sociopolitica, Macario individua invece il luogo geometrico in cui la confezione da docufiction psichedelica e nichilistica puΓ² svelare da ultimo una gustosa anima da telenovela messicana.
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\βπππππππ π§ππππ―π―π π«ππππππ, πππ π‘π π’πͺπ¨πππ π£ππ‘π‘π π«ππ£π\β di Pasquale Squitieri, 1974, 93 min, Italia.
Moglie abbandonata dal marito va alla ricerca di lui e trova l\βeroina. Perturbante e potentissima narrazione che va al di lΓ dell\βidea stessa di nichilismo, potenziata in questo dalla stravaganza del montaggio (da correlare a intenti censori) e dalla complessiva povertΓ produttiva dell\βoperazione. Una volta iniettati all\βinterno di una struttura drammaturgica amorfa e sbandata i due stranianti β e struggentemente metacinematografici β camei di De Sica e Trieste, Squitieri mette a segno un\βopera crudamente eccentrica e totale, in cui l\βafa torbida delle perversione ha la temperatura della camera di un obitorio.
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Rassegna pensata da Claudia Bonsi
Apertura h 21.00
Proiezione h 21.30
A seguire musichette selezionate dagli amici snob
ingresso con Tessera ARCI