“Il verbo italiano “lavorare” viene da “laborare”, che in latino significava “vacillare sotto un peso gravoso”, e indicava in generale la sofferenza e la fatica dello schiavo. Nell’area linguistica germanica la parola “Arbeit” designa la fatica di un bambino rimasto orfano, e perciò diventato servo della gleba. Le parole romaniche “travail”, “trabajo” derivano dal latino “tripalium”, una specie di giogo che fu inventato per torturare e punire gli schiavi ed altre persone non libere…. Dunque il “lavoro” non è affatto, come dimostra l’etimologia della parola, un sinonimo per un’attività umana autodeterminata, ma rinvia a un destino sociale infelice”
Manifesto contro il lavoro, gruppo Krisis, 1999
Dalla seconda metà del 900 è circolata una narrazione secondo la quale il progresso tecnologico avrebbe via via emancipato l’essere umano dal lavoro. In verità quanto più la tecnologia avrebbe permesso di conseguire questo obiettivo, quanto più si è progressivamente affermato un discorso sull’etica del lavoro che lo eleva a valore fine a sé e fa vieppiù sprofondare l’essere umano nel concetto che per vivere bisogna lavorare. Finito il diletto estivo ed esaurito il tempo libero a vostra disposizione, apriamo la nuova stagione del Kinema con quattro film che rompono l’universo di significato sul lavoro, dissacrano l’idolo produttivo e ne mettono in discussione il fanatismo.
1 – “Chi lavora è perduto” (1963) Tinto Brass
8 – “Il posto” (1961) Ermanno Olmi
15 – “L’impiegato” (1960) Gianni Puccini
22 – “I giorni contati” (1962) Elio Petri